I Russi amano bere italiano

mosca-marcopolonewsHo trascorso a Mosca meno di trentasei ore.

Il Marco Polo di allora neppure poteva immaginare fosse possibile. E tantomeno mai avrebbe pensato di vendere vino veneto in Russia.

Eppure i nostri vini sono oggi preferiti anche ai francesi, e sembrano esserlo sempre di più. Nel 2013 l’Italia ha saputo allungare le distanze tra se e gli altri esportatori, con un incremento del 25%, guidato dalle esportazioni di spumante (+53%) e dai vini imbottigliati (+15%). Un mercato molto promettente, con un import di 1.2 miliardi di dollari, +14%.

Una ventata di ottimismo, anche se non tutto è facile.

Mi sveglio in aereo, albeggia, sono oramai le 5 ed i primi raggi di sole chiudono la mia breve nottata in volo.

Mercanteggio un taxi all’aeroporto, non ho fatto esattamente un buon affare, in compenso scopro la bellezza di una Mosca deserta. A destra la luna piena che si dissolve, a sinistra il sole già ruggisce.

A breve giungo al Savoy, boutique hotel nel cuore della città, a pochi passi dal Teatro Bolshoi. Inaugurato nel 1913, da oltre un secolo ospita personalità di spicco del panorama internazionale, e tra le sue mura tante incredibili vicissitudini di una Mosca suntuosa, barocca e comunque misteriosa.

Recupero qualche ora di sonno e mi sveglio pensando di essere tornata indietro nel tempo.

Esco senza meta, mi lascio il Bolshoi alle spalle, mi ritrovo sulla Piazza Rossa, puro fascino, senza tempo. È una giornata caldissima, mi ritrovo sdraiata sul parco di fronte al Cremlino, a guardare la gente che passa, tantissima gente. Non sembra più la città che avevo scorso all’alba, ed ora mi piace anche di più, sembra avere un’anima, un’allegria contagiosa.

Amo osservare la gente, vi sono tanti turisti, pochi europei, pochi americani, e tantissimi asiatici, quasi a ricordarmi che pur vicini, siamo culturalmente molto lontani.

I luoghi sono imponenti, richiedono rispetto, rigore.

Cammino per ore, voglio entrare in empatia con questa terra che sento comunque fredda, a dispetto delle temperature equatoriali.

Rientro al Savoy in serata, mi concedo un lungo bagno caldo, sali profumati, mi sento nuovamente una zarina. Preparo mentalmente l’incontro di lavoro di domani, una nuova sfida, una straordinaria avventura, che mi fa pensare a Paulo Choelo, ad Aleph, allo stato d’animo con cui il protagonista affronta il viaggio in Russia, che a pensarci è molto il mio di questi tempi.

Mi sveglio all’alba, anche oggi il sole è cocente.

È così lontano dallo stereotipo di Mosca sepolta dalla neve, quanti luoghi comuni, quanti pregiudizi. Il viaggiatore deve guardare con i propri occhi, toccare con mano, cogliere emozioni, e se vorrà condividerle, senza perderne la magia dell’unicità dei propri ricordi.

Lascio il Savoy, attraverso il fiume, e raggiungo il mio compagno di viaggio al Kempinsky. Più che strategia, entriamo in sintonia, decidiamo il gioco delle parti, anche se più o meno consciamente è già deciso da quando pianifichiamo questa gita fuori porta.

Un the verde, il salmone, e poi via.

Lasciamo il Kempinsky, la Piazza Rossa, costeggiamo il Cremlino ed entriamo nel traffico moscovita, quasi inquietante, impersonale.

Raggiungiamo il luogo dell’incontro. Sarà un meeting di circa un’ora, con il Numero 1, che ci dovrà lasciare alle 12:00. Del resto il 14 luglio tutti quelli che contano saranno all’Ambasciata di Francia a festeggiare la Revolution.

Dimitri è elegante, sobrio, preciso e puntuale. Sa il fatto suo.

È tangibile il feeling tra lui ed il mio compagno di viaggio.

Vi percepisco lealtà e rispetto, ed anche molte affinità caratteriali.

Trovare un proprio spazio, una qual triangolazione empatica è sempre articolato. Entro in partita, sottilmente, rispetto gli equilibri, i ruoli, mi spiego e trovo una qual certa sintonia.

Approfondiamo i dettagli, capiamo se può esservi una collaborazione, il tempo vola, come sempre quando si sta bene insieme.

È l’ora di pranzo, e Dimitri preferisce noi all’Ambassade de France. Ne siamo lusingati.

Sceglie un ristorante magnifico, un’antica chiesa ortodossa, sapientemente attualizzata, dove antico e moderno, sacro e profano, sono in perfetto equilibrio (www.restcdl.ru).

Il menù è sfizioso, tutte le materie prime rigorosamente locali e di stagione. I piatti sono leggeri, deliziosi. Opto per un’insalata di granchio pescato dalle parti di Vladivostok ed in onore della Francia le coquilles Saint Jacques, sempre provenienti dal Mar Cinese Orientale.

La carta dei vini è impeccabile, sorprendente.

I migliori francesi, alcuni tra i migliori italiani, ed una selezione di tutto il mondo. Non solo, dei migliori vini vi sono pure le verticali, che chiedere di più.

Ancora non so perché, ma qualcosa mi dice che tornerò presto a Mosca.

Sarà finalmente sotto la neve. Già lo so!

… Scrivo in volo, tra le nuvole, con l’Ipad di Steve Job, il novello Rustichello da Pisa dei tempi moderni. Tra le nuvole, che a tratti sembrano onde del mare, mi pare di scorgere Marco Polo, quello vero, il primo, che mi strizza l’occhio

È ora il mio momento, la mia Via della Seta.