Ambiente: i Parchi naturali spingono il Pil ma non al Mezzogiorno

parchi-naturali-marcopolonewsI Parchi nazionali italiani spingono la crescita della ricchezza di tante aree del Nord, mentre il Mezzogiorno non riesce ancora a valorizzarli anche in termini economici. Lo dimostra l’analisi del valore aggiunto procapite prodotto dalle imprese dei Parchi nazionali italiani, oggetto del Rapporto realizzato dal Ministero dell’Ambiente e da Unioncamere presentato oggi 16 settembre a Roma. Lo studio, che si occupa anche dei siti della rete Natura 2000 e delle aree marine protette, mostra infatti che esiste un “effetto parco”, ovvero una maggior capacità di creazione di ricchezza e benessere da parte delle imprese localizzate nelle aree soggette a  tutela ambientale. Non a caso, tra il 2011 e il 2013, il valore aggiunto prodotto all’interno dei Parchi nazionali è diminuito “solo” dello 0,6%, mentre nel resto dell’Italia la variazione negativa è stata tre volte superiore (-1,8%). Questa capacità che il Rapporto riscontra in molti territori “verdi” è frutto di un mix di crescita economica, sostenibilità ambientale, produzioni di qualità, rispetto dei saperi e del benessere dei territori. Un modello di sviluppo nuovo che sembra esercitare un discreto appeal sui giovani e sulle donne, i quali, in misura relativamente maggiore che nel resto del Paese, hanno scelto proprio le aree protette come sede della propria impresa.

Anche per far conoscere meglio queste realtà, Ministero dell’Ambiente e Unioncamere hanno messo a punto l’Atlante socio-economico delle aree protette italiane, consultabile on line all’indirizzo http://www.areeprotette-economia.minambiente.it/.

“Coniugare – afferma il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – la conservazione della natura e la crescita di un’economia che pone l’ambiente come cardine del suo sviluppo rappresenta un passo oggi quanto mai necessario. La Green Economy é un percorso già tracciato, che pone l’ambiente come valore fondante nella produzione del reddito; il rapporto va oltre, mettendo in luce numeri, cifre e storie in cui i parchi nazionali sono protagonisti di esperienze positive. Dalla loro valorizzazione può arrivare una svolta per la crescita del Paese”.

Le aree protette costituiscono un grande laboratorio di nuove pratiche innovative e ecocompatibili”, ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. “Un polmone verde che, negli ultimi anni, è al centro di un interessante risveglio socio-economico. Nella sostenibilità e nell’economia a dimensione delle comunità locali c’è la vera essenza del modello produttivo italiano. Per questo l’attenzione alle aree naturali protette è per noi congeniale al tema dello sviluppo e del rilancio dell’economia. Un modello vincente che insieme al dicastero dell’Ambiente, con il quale abbiamo avviato da alcuni anni una preziosa collaborazione nel campo della blue economy e della green economy, vogliamo sostenere, accompagnando la transizione delle economie locali verso una crescita sostenibile”.

 

I Parchi nazionali

I 23 parchi nazionali analizzati nel Rapporto occupano un’area vasta quasi quanto tutta la Calabria (15mila kmq, pari al 5% dell’estensione del nostro Paese). Questi territori, diffusi in tutte le regioni italiane, ad eccezione del Friuli-Venezia Giulia e della Sicilia, hanno conosciuto in vent’anni un progressivo spopolamento (i residenti si sono ridotti del 5,6%, in controtendenza con quanto registrato a livello nazionale, dove l’aumento è stato del 5,1%), dovuto essenzialmente alla scarsa attrazione che queste aree hanno esercitato verso la componente straniera che si è resa protagonista del recente boom demografico del nostro Paese. Negli ultimi anni, però, questo fenomeno sembra si stia arrestando: nel 2012 rispetto al 2011, infatti, si è assistito a una modestissima crescita (di soli 71 abitanti) della popolazione, sulla quale può aver inciso un “processo di ritorno” dei giovani. Infatti, la popolazione di meno di 30 anni è percentualmente maggiore nei parchi nazionali (31,2%) rispetto alla media italiana (29,4%), con punte del 38% in alcune aree del meridione, come il Vesuvio, l’Aspromonte e il Gargano.

L’orografia prevalentemente montuosa non frena la voglia d’impresa: sono infatti oltre 68mila le attività produttive presenti in queste aree, con un’incidenza elevata di attività commerciali (26%, spesso di prodotti artigianali), agricole (22,5%) e della ristorazione (7,7%). In media, ciò significa che esistono 9,7 imprese ogni 100 abitanti, con una densità di poco inferiore a quella media nazionale (10,2%). Piccole di dimensioni (solo 2,3 gli addetti a fronte di una media di 3,7), queste imprese si contraddistinguono per una maggior presenza di giovani (13,1% le imprese giovanili dei parchi contro l’11,1% della media Italia), e di donne (26,8% le attività a guida femminile nelle aree protette contro il 23,6% registrato a livello italiano). Ridotto, invece, il numero delle imprese straniere (3.533), che rappresentano solo il 5,2% del totale a fronte del dato medio del 7,8%.

Ma fare impresa nella natura conviene? La risposta è sì al Centro-Nord, no (o non ancora) al Mezzogiorno. Comparando, infatti, il valore aggiunto pro capite prodotto nei Parchi nazionali (che possiamo definire comuni natural capital based), con un raggruppamento di comuni a modesta presenza naturalistica, ma con caratteristiche economiche e localizzative simili a quelle delle aree naturali protette (comuni not natural capital based), emerge un differenziale positivo di 6mila euro nel caso del Nord-Ovest (dove i comuni natural capital based valgono quasi 19.500 euro di valore aggiunto pro capite, a fronte dei 13.500 dell’altro raggruppamento) e di 1.800 euro nel caso del Centro (17mila euro contro oltre 15.200). Nel Nord-Est, invece, il capitale naturale non sembra esercitare un ruolo determinante nella creazione di ricchezza (nei comuni dei Parchi il valore aggiunto pro capite è di circa 21.250 euro contro gli oltre 21.700 dei comuni esterni confrontati). Il differenziale diventa negativo nel caso del Mezzogiorno: oltre 8mila euro nei comuni natural capital based contro i quasi 10.500 di quelli not natural capital based.

 

I siti della rete Natura 2000[1]

I 2.299 siti della rete Natura 2000, dislocati nel territorio di 3.765 comuni (il 46,5% del totale), occupano quasi 58mila kmq di superficie (il 19% dell’estensione del nostro Paese) e sono presenti in tutte le regioni e in tutte le province italiane. Il Mezzogiorno ospita la maggior parte delle superfici destinate a questa tipologia di aree protette, con la Sicilia che si distingue per essere la regione con la maggior presenza di siti Natura 2000 (nel complesso, 4.700 kmq di estensione). In termini relativi, però, è l’Abruzzo a segnalarsi come “polmone verde d’Italia”, visto che i suoi 3.867 kmq di estensione di siti Natura 2000 corrispondono al 35,7% di tutta la superficie regionale (unico caso, insieme alla Valle d’Aosta, in cui il 30% del territorio ricade sotto questo tipo di tutela).

Capolista assoluta della classifica delle province con la maggior incidenza di siti Natura 2000 rispetto all’estensione territoriale è Belluno (54%). Molto “verdi” però sono anche Trieste (45,6%) e Sondrio (41,2%). Tra le grandi città, spicca il caso di Roma, dove poco meno di un quarto del territorio provinciale è soggetto a tutela. Anche nei siti Natura 2000 si è verificato negli ultimi 20 anni un processo di spopolamento (comunque meno intenso che nei Parchi nazionali), che di recente sembra essersi arrestato, visto che nel 2012 rispetto al 2011 si è registrata la crescita di 700 residenti.

Anche le aree Natura 2000 presentano una densità imprenditoriale prossima a quella media nazionale (9,7% contro 10,2%). La distribuzione settoriale mostra, però, un maggior equilibrio fra i vari settori produttivi, con un più spiccato orientamento verso il settore primario (che assorbe il 18,1% delle imprese operanti in aree della rete) e quello dell’alloggio e ristorazione (9,4%) anche se il commercio resta il settore prevalente.

La maggior strutturazione del sistema economico e la forte presenza del Nord contribuiscono a far elevare decisamente il valore aggiunto privato pro capite, che nel 2011 si attestava a 14mila euro, vale a dire 4mila euro in più di quello medio fatto segnare nei Parchi nazionali. Nel caso dei territori soggetti a questa tutela, la dicotomia tra aree del Paese è soprattutto tra Nord e Centro-Sud, grazie al Nord-Est che, di fatto, doppia sia il Centro, sia il Sud, piazzando le sue quattro regioni nei primi cinque posti della classifica nazionale (al primo posto spicca il Trentino-Alto Adige, con oltre 25mila euro a persona). Sopra la soglia dei 20mila euro ci sono, oltre alle regioni del Nord-Est, anche Valle d’Aosta e Lombardia, mentre nel Mezzogiorno emerge la situazione della Sardegna.

 

Le aree marine protette

Nelle 27 aree marine protette, cui si aggiungono due parchi sommersi, operano quasi 52mila delle 180mila imprese dell’economia del mare, attive prevalentemente nel settore dell’alloggio e ristorazione (47,7%) e nelle attività sportive e ricreative (19,9%).

L’analisi della distribuzione di queste imprese rispetto all’intero sistema produttivo locale fa emergere alcuni casi interessanti. Tra questi, quello delle Isole Tremiti, le cui 59 imprese dell’economia del mare costituiscono quasi il 60% del tessuto imprenditoriale dell’area. A seguire le Isole Pelagie, le Egadi, Ventotene e Santo Stefano e Bergeggi. L’unica area estranea a questa forte connotazione isolana è quella delle Cinque Terre.

16 settembre 2014

da Comunicato stampa


 

 

 

[1] Natura 2000 è la rete ecologica europea costituita da aree destinate alla conservazione della biodiversità. Queste aree, denominate Zone di protezione speciale (ZPS) e Siti di importanza comunitaria (SIC), hanno l’obiettivo di garantire il mantenimento ed il ripristino di habitat e specie particolarmente minacciati.