Il Made in Italy rende di più se è in mano di italiani

made-in-italy-pittura11 agosto 2014

Sembrerà un paradosso, non scontato, ma le aziende del Made in Italy funzionano meglio quando sono in mani a capitali italiani rispetto a quando finiscono in quelli stranieri. Il dato curioso emerge dalla fotografia della 52.a edizione dei «Dati cumulativi di 2050 società italiane», scattata dall’Ufficio Studi di Mediobanca.

La prima elaborazione risale al 1962, in pieno boom economico, e fu pubblicata nella relazione di bilancio di Piazzetta Cuccia. Le locomotive allora erano la grande industria, Fiat in testa, e le grandi opere, a partire dalle autostrade. Oggi, invece, si scopre che il pubblico cresce più del privato.

Venendo ai dati appena pubblicati, in generale le aziende dei tradizionali comparti del ‘Made in Italy’ – ossia alimentare, abbigliamento, arredamento, automazione – hanno tenuto nel corso di questi anni di crisi, ma lo hanno fatto meglio quelle gestite da proprietà italiana.

Nel periodo 2008-2013, il fatturato delle imprese italiane del ‘Made in Italy’ è diminuito solo dello 0,8%, mentre quello delle imprese del settore a proprietà straniera ha ceduto il -11,1%. Sempre nello stesso periodo, l’export delle imprese ‘nostrane’ del ’Made in Italy’ è cresciuto del +5,5%, per contro quello delle ‘straniere’ ha accusato una flessione del -5,4%. E il calo delle vendite in Italia ha colpito ben più le seconde (-16,4%) che non le prime (-6,4%).

In base alla fotografia contenuta nel dossier «Dati cumulativi di 2050 società italiane», gli investimenti si sono ridotti nel periodo del 23,1% per le italiane e del 28,3% per le straniere. Per quanto riguarda l’occupazione, le straniere hanno mostrato una propensione ai tagli molto più marcata rispetto alle italiane, con una riduzione dei dipendenti del -10,6% rispetto al -2,2%. Nel solo 2013, il fatturato del ‘Made in Italy’ ‘italiano’ è diminuito del -0,2%, mentre quello del ‘Made in Italy’ ‘straniero’ ha ceduto il -4,1%. Il Roe, infine, si è attestato al 7,4% per le prime e al 6,7% per le seconde.

Secondo l’Ufficio Studi di Mediobanca, quasi un terzo della produzione delle imprese medio-grandi italiane – il 67% per la precisione – ha varcato i confini nazionali nel 2013, con una perdita del 7,8% della forza lavoro operaia nei 5 anni precedenti. È il risultato dell’effetto combinato di crisi e delocalizzazioni.

A fronte di un calo del 2,4% del fatturato aggregato delle società che operano in Italia tra il 2008 ed il 2013, i soggetti pubblici hanno registrato una crescita del 6,1%, favorita soprattutto dal fatto che le multiutility operano in settori regolati da tariffe, mentre i privati hanno registrato un calo del 4,7%. Il 91% del fatturato delle imprese italiane suddiviso tra esportazioni (24%), ossia beni prodotti in Italia e venduti su altri mercati, e dal cosiddetto ‘estero su estero’ (67%), costituito dai beni prodotti all’estero e venduti sui vari mercati.

In realtà la quota di produzione all’ estero potrebbe anche essere superiore, in quanto il 9% di quota nazionale del fatturato, non esprime necessariamente beni prodotti in Italia. Le 2.050 imprese italiane radiografate dal Centro Studi di Mediobanca rappresentano la totalità delle aziende industriali con oltre 500 addetti, che a loro volta riflettono circa il 50% del fatturato della manifattura ed il 57% delle esportazioni.

In 5 anni l’occupazione è scesa del 5%, colpendo soprattutto le tute blu (-7,8%) rispetto ai colletti bianchi (-1,3%), risparmiati dalla tagliola delle delocalizzazioni, ma la base operaia resiste nelle medie imprese (63%), che hanno delocalizzato meno, rispetto ai grandi gruppi manifatturieri (52%). Mano pesante sull’occupazione da parte delle società pubbliche (-9,2% dal 2008) e forte calo anche nel manifatturiero (-5,7%) dove hanno tagliato posti di lavoro soprattutto le imprese a controllo estero (-11,3%). Riduzioni di personale minori nelle medie imprese (-2,1%) e nel Made in Italy a controllo italiano (-2,2%), è invece calato del 10,6% quello controllato da mani straniere.

In caduta libera, secondo «Dati cumulativi di 2050 società italiane», anche i margini industriali, crollati del 42,5% tra il 2007 ed il 2013. Il sisma ha colpito sia le imprese pubbliche (-44,7%) sia quelle private (-41,7%), mentre hanno ‘resistito’ quelle medie (-16,6%), che tra il 2012 ed il 2013 li hanno aumentati del 15,9%. Giù anche gli investimenti (-40,6% tra il 2004 ed il 2013), con il pubblico (-53,8%) in coda al privato (-30,3%), per contro il credito bancario alle imprese si è ridotto di ben 33 miliardi nel triennio 2009-2013.

(di Dario de Marchi)