Storie di Teodolinda tornano a splendere nel Duomo di Monza

cappella_marcopolonews copiaLa Cappella di Teodolinda è tornata al suo antico splendore. Dopo circa sette anni di restauri, sta per essere restituito ufficialmente alla città di Monza il ciclo di affreschi dedicati alla storia della regina dei Longobardi, che cristianizzò i pagani e fece costruire la cappella palatina, dove poi sorse l’odierno (e celebre) Duomo del capoluogo brianzolo. Agli interventi ha contributo anche l’ENEA che ha collaborato con il CNR, l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e altri centri di ricerca al recupero di un’opera d’arte fortemente provata dal tempo.

L’intervento dell’ENEA si è collocato nella fase preliminare di studio, quando è stato eseguito un ampio screening per “caratterizzare” le tecniche esecutive, i materiali originali utilizzati e quelli aggiunti nei passati restauri. Inizialmente sono state realizzate indagini “non distruttive” sull’intera opera, mentre nel corso del restauro sono stati effettuati in laboratorio approfondimenti puntuali su microcampioni. In particolare, è stata utilizzata la tecnica della “fluorescenza X”, nota anche con l’acronimo XRF: irraggiando mediante fasci di fotoni lo strato pittorico e misurando energia e intensità della radiazione di fluorescenza emessa, sono state ottenute informazioni sulla sua composizione e quindi individuati i materiali, come ad esempio i pigmenti contenenti elementi chimici non leggeri.

Le “Storie della regina Teodolinda”, il più ampio ciclo di affreschi di gotico internazionale in Italia, furono dipinte tra il 1441 e il 1446 dagli Zavattari, famiglia di artisti con bottega a Milano. La serie si compone di 45 scene, su cinque registri sovrapposti, che rivestono interamente i 500 metri quadri delle pareti della cappella a sinistra dell’abside centrale del duomo di Monza.

Il degrado nel quale versavano era dovuto principalmente alla natura dei materiali organici di facile deperimento come olio e uovo, che furono utilizzati per la pittura a secco. Inoltre, a partire dal 1700 la cappella è stata restaurata in media ogni cinquant’anni, con tecniche spesso invasive, in cui si preferiva ridipingere e dorare le parti deteriorate piuttosto che sanare a monte le cause del deperimento. L’umidità e i fumi acri delle lampade ad olio e delle candele hanno fatto il resto.

L’ENEA è attiva da decenni nel settore della salvaguardia del patrimonio artistico, sia in Italia che all’estero, grazie al proprio know-how costituito da strumentazioni ad alto valore tecnologico; dalle indagini diagnostiche con gammagrafie, analisi termografiche, fluorescenza X, microscopie ottiche ed elettroniche, tomografie neutroniche per i restauri di capolavori del Rinascimento italiano, come la “Deposizione Borghese” di Raffaello e la “Madonna della Misericordia” di Piero della Francesca, alle tecnologie laser, fra tutte il brevetto del Radar Topologico a Immagine, con il quale è possibile rilevare, a distanza, le caratteristiche morfologiche e di colore di un’opera d’arte e di ricostruirne un’immagine fedelissima, con risoluzioni superiori rispetto ai dispositivi convenzionali, con cui è stata acquisita la “Cappella Sistina” e la “Loggia di Amore e Psiche” di Raffaello a Villa Farnesina a Roma.

Tra gli altri progetti che hanno suscitato maggiore interesse, il sistema d’isolamento antisismico innovativo per i Bronzi di Riace, progettato e realizzato appositamente per la loro conservazione al museo di Reggio Calabria, testato nel Centro Ricerche ENEA della Casaccia (alla periferia di Roma), ma applicabile a tutta la statuaria a prevalente sviluppo verticale con ridotta base di appoggio. Questa stessa soluzione tecnologica è stata adottata dall’ENEA anche per la messa in sicurezza della statua di bronzo di San Michele Arcangelo e del Drago, originariamente collocata sulla facciata del Duomo di Orvieto.duomo_marcopolonews copia

Nel campo della protezione sismica del patrimonio storico-monumentale sono state sviluppate e applicate tecnologie antisismiche innovative e metodologie d’intervento che coniugano sicurezza con esigenze di conservazione, ad esempio nel Ponte delle Torri a Spoleto.

Inoltre, sono state realizzate analisi endoscopiche, termografiche e vibrazionali per il completo recupero della Villa dei Misteri a Pompei, che integrano l’utilizzo di tecniche standard per la diagnostica con tecniche innovative di telerilevamento a bassa quota, ovvero droni per l’acquisizione ed elaborazione di immagini ad alta definizione.

L’ENEA, inoltre, ha firmato un accordo con i Musei Vaticani per lo sviluppo congiunto di tecnologie avanzate per la tutela del patrimonio storico e artistico della Santa Sede, come il bio-restauro, una speciale tecnica perfezionata dall’ENEA, che si basa sull’utilizzo di batteri per la pulitura e la rimozione di patine, vecchie colle e protettivi alterati sulle opere d’arte, con grandi vantaggi dal punto di vista ambientale ed economico, e che presto sarà applicata per il restauro del corredo lapideo (statue e fontane) dei Giardini Vaticani.

Ha anche progettato un innovativo e complesso sistema di movimentazione e trasporto di una famosa statua in marmo di epoca romana, “Augusto di Prima Porta”, dai Musei Vaticani alle Scuderie del Quirinale, poi a Parigi e ritorno in Vaticano. In particolare sono state studiate soluzioni specifiche per proteggere i punti più vulnerabili: il braccio, le caviglie e il mantello. Tutte le fasi delle operazioni sono state monitorate con un sistema di sensori, posizionati sui punti critici della statua e sul basamento.

Ha effettuato analisi sperimentali e accurate modellazioni numeriche per rilevare le vibrazioni ambientali di opere di epoche diverse a Roma, come: Colonne Traiana e Aureliana, Colosseo, Tempio di Minerva Medica, Obelisco Flaminio, Tempio Rotondo al Foro Boario, Villa Farnesina e Obelisco Lateranense.

Tra le attività svolte all’estero, l’ENEA ha utilizzato tecnologie innovative, quali GPS differenziale, interferometria radar da terra (GB-SAR) e satellitare (InSAR), laser scanner multitemporale per il monitoraggio e la valutazione del movimento franoso profondo che interessava l’intero sito archeologico del mitico Machu Picchu, situato in Perù, nella valle dell’Urubamba, a circa 2.430 m sul livello del mare, e il cui nome deriva dai termini “quechua”, “machu” e “pikchu” e che fa parte dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO.

 

di Patrizia Tonin

18 Ottobre 2015