Dopo 14 anni di latitanza forzata torna la vera pajata

pajata-marcopolonewsTorna la vera pajata dopo una latitanza forzata di quasi quattordici anni dalle tavole degli italiani per effetto delle restrizioni sanitarie adottate nel luglio 2001 per far fronte all’emergenza “mucca pazza” (Bse). È il risultato della lunga battaglia della Coldiretti culminata con successo con il voto favorevole a Bruxelles dal comitato permanente vegetali, animali, derrate alimentari e mangimi dell’Unione Europea per la modifica del regolamento comunitario n. 999/2001 sulle misure di prevenzione e controllo della Bse.

“È un risultato importante per consumatori, ristoratori, cuochi, macellatori e allevatori che oltre ad avere rilevanza sul piano gastronomico ha anche effetti su quello economico con la valorizzazione dell’allevamento italiano in un difficile momento di crisi”, ha affermato Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, nel sottolineare “il determinante impegno del Ministero della Salute”.

Un evento che è stato festeggiato dalle donne della Coldiretti a Roma al Centro Congressi di Palazzo Rospigliosi, sede della Coldiretti, in via XXIV Maggio 43, con la preparazione di una maxipajata per celebrare l’atteso ritorno.

In sostanza viene modificato l’elenco degli organi a rischio e consente di recuperare la colonna vertebrale ma, soprattutto, l’intero pacchetto intestinale. Una decisione che mette fine ad un doloroso divieto e apre finalmente le porte al ritorno del piatto piu’ tipico della tradizione romana nella sua forma originale.

La pajata è il termine romanesco per definire la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte che è stato fino ad oggi sostituito nei ristoranti e nelle trattorie dall’intestino d’agnello. È l’ingrediente principale di uno dei piatti più tipici della cultura gastronomica della capitale: i rigatoni con la pajata, ma in alternativa puo’ essere proposta alla brace, in forma di spiedino.

La decisione della Commissione Europea è una giusta conseguenza del fatto che dal 2009 non si registrano casi di mucca pazza tra bovini in Italia per il rigido sistema di controlli e per le misure di sicurezza messe in atto anche con grandi sacrifici dagli allevatori. Una spinta decisiva al risultato è stata data dal giudizio positivo dell’Organizzazione mondiale per la sanità animale (Oie) che a fine maggio del 2013 nell’ambito dell’Assemblea generale ha adottato la risoluzione che aveva ufficialmente sancito per l’Italia un nuovo stato sanitario per l’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), con il passaggio dal livello di rischio “controllato” a quello “trascurabile”, il piu’ basso. L’Italia, con Giappone, Israele, Olanda, Slovenia e Usa, fa parte della ristretta cerchia di 19 Paesi, sui 178 aderenti all’Oie, che hanno raggiunto la qualifica sanitaria migliore di rischio “trascurabile” per la mucca pazza (Bse).

Il nuovo regolamento di esecuzione dal comitato permanente vegetali, animali, derrate alimentari e mangimi dell’Unione Europea passa ora al servizio giuridico della Commissione Europea per la traduzione in tutte le lingue e sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale entro 15- 20 giorni.

La Bse, detta anche “morbo della mucca pazza”, era stata diagnosticata per la prima volta nel Regno Unito nel 1986 nei bovini e da allora si contano 180.671 casi tra i bovini, contro gli appena 144 in Italia dove non ci sono state contaminazioni dal 2009.

di Eleonora Albertoni

19 Marzo 2015